CARCIOFO

Generalità: è una pianta perenne tipicamente mediterranea, che cresce spontanea nelle zone più calde. Dal secolo quindicesimo il carciofo è stato utilizzato per uso alimentare. La radice è fittonante e da essa, a primavera, spuntano le foglie di colore grigio verde e dal centro della rosetta finale a primavera spunta un fusto ramificato che termina con un capolino fiorale.
Questi capolini, parte commestibile del carciofo, hanno la base ingrossata, carnosa, con brattee a forma di scaglie che in alcune varietà terminano con una spina.
La pianta, come si è detto è perenne, si coltiva però come pianta produttiva per massimo una decina d'anni. La produzione spontanea dei carciofi è di fine inverno - primavera, ma con opportune tecniche colturali può essere prodotto anche in autunno - inverno.
Si coltiva nell'orto o in pieno campo; da ogni pianta si può raccogliere una decina di carciofi, per cui in un modesto appezzamento si possono avere quantità sufficienti anche coltivando poche piante.


Clima: vegeta in un clima mite e asciutto anche se si adatta a climi relativamente freddi. Teme gli sbalzi di temperatura e le brinate.

Varietà: ricordiamo il violetto di Chioggia, il violetto spinoso sardo, il romanesco senza spine tipico del Lazio con capolini molto grandi, lo spinoso della Liguria, e il grosso di Bretagna.

Terreno: gradisce terreni di medio impasto, ricchi e profondi con poco scheletro, ma si adatta anche a terreni argillosi o calcarei, torbosi e acidi o addirittura salmastri.

Consociazione: buona quella con la lattuga, con i piselli, con i ravanelli, con la cipolla, il porro e i fagiolini nani.

Propagazione: Può essere per seme o per via agamica e quindi per parte di pianta (carducci o ovuli).
La semina deve essere effettuata in semenzaio coperto a fine inverno o in semenzaio non protetto in primavera, oppure direttamente in campo a maggio.
In semenzaio il seme viene distribuito a file alla profondità di un centimetro e mezzo.
Nel caso utilizzassimo i carducci, cioè gemme che si sviluppano nella pianta madre, si devono staccare con una piccola porzione di rizoma muniti di qualche radichetta (bambolina).
Per la riproduzione si possono inoltre usare gli ovuli, cioè porzioni di fusto munite di una gemma.




Impianto e cure colturali della carciofaia: gli ovuli vengono staccati dalla pianta madre in estate. Si fanno germogliare tenendoli ammassati e inumiditi per un paio di giorni e poi si piantano nell'orto in solchi o buche profonde una ventina di centimetri ad una distanza tra le piante di un metro - un metro e venti minimo negli impianti stabili, mentre negli annuali si possono disporre i carciofi più vicini.
Per ottenere una produzione primaverile, i carducci si staccano dalla pianta madre nel mese di ottobre. Si piantano a dimora in una buca profonda, usando le stesse accortezze già dette in precedenza, e con i primi freddi si rincalzano.
A primavera si zappano e si concimano al piede e già dal primo anno si potrà avere una produzione soddisfacente. L'anno successivo si effettuano le solite operazioni colturali.
Per la produzione autunno - invernale, i carducci si piantano in primavera nella carciofaia.
Prima del trapianto dei carducci si devono cimare le foglie.
La scarducciatura è una operazione utile che deve essere effettuata a prescindere dall'uso del carduccio, poiché libera la pianta dai polloni che le sottrarrebbero vigore.
Nell'orto non tutti i carducci si eliminano, se ne lasciano uno o due che piegati e interrati nel suolo si sbiancano a causa dell'eziolatura e possono essere raccolti e con qualsiasi ortaggio.

Avversità: le lumache e i topi, in particolare le arvicole, possono produrre gravi danni alle radici.
Tra gli insetti ricordiamo gli afidi, il maggiolino e il grillotalpa, ma particolarmente dannosa è la nottua del carciofo le cui larve scavano gallerie dentro le nervature delle foglie è può essere combattuta eliminando le piante infestate o con trattamenti a base di piretro o rotenone.
La vanessa del carciofo una piccola farfalla le cui larve rosicchiano prima la pagina inferiore della foglia, e poi tutto il lembo fogliare.
Tra le malattie crittogamiche è da ricordare il mal bianco che si manifesta sulle foglie sotto forma di ingiallimenti di diversa estensione, in corrispondenza delle quali appare una muffa farinosa biancastra. Le parti interessate si seccano e si lacerano e il lembo fogliare si piega verso l'alto.

La raccolta: si effettua recidendo con un taglio netto i capolini fiorali ancora in bocciolo, con le brattee ben serrate. I carciofi si asportano insieme ad una ventina di centimetri di gambo fogliato che, priva dei filamenti esterni, è considerata commestibile.

MIRTO

Myrtus communis L.
Fam. Myrtaceae

Fr.Myrte
ng.Myrtle
Ted. Brautmyrte, Echte Myrte
Spa. Arrayan

 

Descrizione

Il mirto è un arbusto sempreverde, aromatico, che raggiunge un'altezza di 3-5 m. I fusti del mirto portano foglie lucide, coriacee, opposte; alla loro ascella nascono i fiori  con 5 petali bianchi o rosati e molti stami prominenti, che si aprono all'inizio dell'estate e sono profumati. I frutti sono bacche tonde e commestibili, di circa 1 cm di diametro e di colore blu-rossatro, coperti da una pruina bluastra quando maturano (tra novembre e gennaio) e  contenenti molti semi.

Solanum Torvum

il Solanum torvum è uno  straordinario portainnesto per  la famiglia delle solanacee. E’ in grado di sviluppare un apparato radicale vigoroso e resistente anche a patologie funginee,  specialmente se le coltivazioni sono fatte in serra. Consente di anticipare il raccolto di almeno di qualche mese (2 mesi)  rispetto alle tradizionali piante. Il prodotto viene raccolto ad una altezza agevole e questo ovviamente vale anche per la manutenzione (diradamento, modellamento e trattamenti se necessari) della pianta stessa.
Gli ortaggi sopra ottenuti presentano caratteristiche organolettiche uguali o addririttura superiori, come sostengono molti coltivatori.   Gli innestati  del “datterino” e del “ciliegino” di Pachino danno eccezionali risultati di quantità, gusto e qualità.

L’idea di base è semplice ma efficace. Bisogna prendere una pianta resistente alle malattie, vigorosa, che da adulta diventi un alberello di pochi metri e innestare degli ortaggi su alcuni dei suoi rami, l’alberello fornirà le radici, il tronco e le sue qualità migliori per far crescere delle piante diverse, senza radici né tronco, attaccate ai suoi rami. E’ questa la tecnica che permette la coltivazione e la fruttificazione del cosiddetto “albero di melanzane e pomodori”, salito alla ribalta grazie a Giuseppe Marino, un geometra siciliano in pensione, che li coltiva da molti anni nella sua terra a Palermo. 
L’innesto non è praticabile tra tutte le piante, il  porta-innesto e il nesto debbono essere piante affini dal punto di vista botanico. Nel caso dell’”albero delle melanzane“, la pianta che fa da porta-innesto è un alberello tropicale, il solanum torvum, della stessa famiglia dei pomodori (solanum lycopersicum) e delle melanzane (solanum melongena). La pianta ha bisogno di almeno un paio d’anni per raggiungere l’altezza richiesta dall’innesto e non tollera inverni troppo freddi, dove la temperatura scende sotto lo zero (la temperatura minima per la pianta è +6°C). Per chi abita in zone fredde deve provvedere a coprire la pianta in inverno Inoltre, avendo la pianta radici robuste, per la produzione e la crescita ottimale, è consigliabile metterla a dimora nella terra piuttosto che in un vaso.

SALVIA

Generalità: proviene dalle coste del Mediterraneo.  
Pianta aromatica con foglie molto profumate, assai utilizzate in cucina. Durante il periodo invernale alcune varietà perdono completamente le foglie mentre altre sono semipersistenti. Si tratta di un arbusto che in natura può raggiungere i 60 centimetri d'altezza. Fiori azzurro-viola che sbocciano in estate.


Temperatura minima: pianta rustica, che si adatta anche a zone a clima rigido.

Terreno: non necessita di terreni particolarmente ricchi, crescendo bene anche in terreni poveri e calcarei.

Trapianto: si mette a dimora nel mese di ottobre o di marzo.
Moltiplicazione: per seme o per talea.
Note: si consiglia di cimare le piante giovani per favorire la ramificazione della pianta. 

CLOROSI

Questa malattia non è causata da un agente patogeno, ma da carenze nutrizionali della pianta, in particolare si presenta quando la pianta non riesce a svolgere al meglio la fotosintesi della clorofilla a causa della scarsa o assente assimilazione di ferro e microelementi dal terreno, questo può avvenire sia per un eccesso di calcare nel terreno, si per mancanza di ferro, potassio, zinco o azoto.
I sintomi sono costituiti da un progressivo ingiallimento delle foglie, le cui nervature rimangono di un colore più scuro, e dal deperimento della pianta, che spesso non riesce a fiorire e a produrre frutti, e che comunque cresce in maniera stentata.
E' utile intervenire, anche tempestivamente, somministrando ferro chelato alla pianta, in modo da favorire l'assorbimento di questo microelemento da parte delle piante; in seguito è opportuno mantenere il terreno ben arieggiato, e ricco di sostanza organica, al fine di evitare eventuali ricomparse della clorosi. Le piante più spesso colpite da clorosi ferrica sono: azalea, cotogno, fragola, glicine, lampone, lauroceraso, ortensia, pesco, rododendro, rosa.
Nel caso di piante, come l'azalea, il rododendro o l'ortensia, che amano i terreni particolarmente acidi è opportuno utilizzare un terreno di questo tipo sia in giardino, interrandolo nella buca prima della messa a dimora della pianta, sia in vaso; in questo modo, e con opportune concimazioni a base di concimi specifici per piante acidofile, scongiureremo la comparsa di clorosi ferrica.
Nel caso in cui le nostre piante siano già state colpite da clorosi è opportuno aggiungere all'acqua di irrigazione dei concimi cosiddetti rinverdenti, che apporteranno al terreno i microelementi di cui è carente.


INNESTO A SPACCO

INNESTO A TRIANGOLO

Quest'innesto è l’unico che si effettua in pieno riposo vegetativo, cioè nei mesi di Gennaio e Febbraio. Le piante che si adattano a questo tipo d'innesto sono prevalentemente il pero e il melo.
Effettuare una incisione nel legno a forma di triangolo e preparare la marza con la stessa inclinazione del taglio. E' molto importante che il triangolo sia delle stesse dimensioni dell'intarsio che abbiamo effettuato sul porta innesto (e ciò al fine questo per aumentare l'attecchimento dell'innesto).
Inserire la marza nell'intarsio e legare con rafia e coprire tutto con del mastice.